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Alberto Romelo. Multiculturalismo, nuove tecnologie e religione. Interview a Jos de Mul. Confronti. No. 6, 2015, 26-28.

Multiculturalismo, nuove tecnologie e religione

In epoche storiche lontane, i cambiamenti avvenivano con molta lentezza e le società tendevano a essere più omogenee. Oggi - soprattutto grazie ai nuovi media - c'è più scambio tra culture diverse, le persone sono in grado di entrare in contatto e conoscerle, quindi hanno maggiore possibilité di scelta.

Jos de Mul è professore di Antropologia filosofica all’università Erasmus di Rotterdam, dove è a capo della sezione Filosofia dell’uomo e della cultura. Inoltre, è direttore dell’istituto di ricerca «Filosofia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» (ɸIct). Tra le sue pubblicazioni in inglese, Destiny Domesticated. The Rebirth of Tragedy Out of the Spirit of Technology (2014), Cyberspace Odyssey. Towards a Virtual Ontology and Anthropology (2010) e The Tragedy of Finitude. Dilthey’s Hermeneutics of Life (2004). L’abbiamo intervistato a Porto, in Portogallo, dove si trovava e ci trovavamo per una conferenza dal titolo «Harder, Better, Faster, Stronger? Philosophical investigations into Big Data».

In un suo recente articolo, per spiegare cos’è il multiculturalismo, fa l’esempio di una ragazza incrociata nella metropolitana di Rotterdam. Per me è stato illuminante. Potrebbe riprenderlo qui?

Si trattava di una sorta di fenomeno ibrido, perché era musulmana (portava il velo) ma allo stesso tempo usava dei pattini, aveva una t-shirt con lo smile e un telefono in mano. Stava parlando, probabilmente con un’amica, in uno strano misto di arabo e olandese con un forte accento di Rotterdam. Per me è diventata una specie di simbolo della società multiculturale in cui ci troviamo oggi. Certo, penso che le culture siano sempre state una specie di ricombinazione di elementi presi da tradizioni più antiche o da altre tradizioni.

Una ricomposizione di tradizioni?

Cio che considero importante e che questo processo d’innesto, che si e sempre verificato, e anche cambiato nel corso della storia.
Nelle società premoderne, questi processi erano molto lenti e spesso prendevano più di una generazione. Per chi ci viveva dentro, i cambiamenti erano appena visibili. Per l’omogeneità di queste società, per lo più non c’era coscienza delle altre culture. Nelle società moderne qualcosa cambia. Innanzitutto perché c’è più scambio e la gente è più consapevole. Interessante è il fatto che, se ci sono più tradizioni visibili nello stesso momento, allora ci sono anche più scelte possibili. Se si è coscienti delle differenze, allora bisogna compiere delle scelte.

Per esempio la religione?

Certo. Le tradizioni resistono ma sono ora, per cosi dire, il risultato di una scelta. Si tratta di scelte esistenziali, come si vede nell’ambito della religione in Europa, dove alcuni giovani di origini musulmane scelgono di tornare all’islam e ahimè, in alcuni casi, di giungere al fondamentalismo. E poi ci sono molti musulmani che optano per uno stile di vita occidentale. Per fare un altro esempio, nei Paesi Bassi, negli anni Sessanta e Settanta molti giovani hanno fatto la scelta di non essere più religiosi. Vorrei sottolineare come queste scelte siano esistenziali, cioè siano scelte per la vita che implicano un pieno coinvolgimento. Ora, a partire dagli anni Settanta e Ottanta, siamo entrati in un tipo di società postmoderna in cui il numero di elementi a disposizione è ancora più alto. Penso che i media abbiano avuto un ruolo importante in cio, la televisione ma ovviamente anche internet, che ha dato la possibilità di entrare in contatto con praticamente tutte le culture del mondo. Inoltre, direi che anche il coinvolgimento è cambiato: ora non si tratta più di una scelta esistenziale ma di una scelta che dura solamente per il tempo in cui risulta piacevole. Si vede la gente mettere una statua di Buddha nel giardino per un anno e poi la moda cambia. Non significa che queste persone non siano davvero coinvolte, ma semplicemente che si tratta di un coin volgimento più leggero, per cosi dire temporaneo. Si è passati insomma da una «tradizione per abitudine», a una «tradizione per scelta», per finire con una «tradizione per comodità».

Potrebbe spiegarci meglio in quale maniera sono collegati tra loro il multiculturalismo e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione?

Penso si debbano distinguere due livelli dell’«ontologia database». Da un lato, possiamo parlarne come della base tecnica della società dell’informazione, perché uno degli elementi chiave di tutte le tecnologie dell’informazione oggi è proprio il database. I database sono collezioni di dati che sono ordinati in una maniera o nell’altra e si caratterizzano per quattro operazioni, il cosiddetto Abcd del database: aggiungere (add), scorrere (browse), creare (create) e cancellare (delete). I database fanno ormai parte di ogni tecnologia dell’informazione e sono diventati sempre più importanti. Se si guarda al web, per esempio, si scopre che dietro ogni sito internet c’è un database. Facebook, per esempio, colleziona i dati riguardanti le nostre preferenze, gli amici che abbiamo, i contenuti che «likeiamo» etc. per rivenderli a terzi. In questo modo, i nostri desideri vengono connessi con i loro prodotti e, a volte, vengono creati secondo quegli stessi prodotti. L’identità è in qualche modo ricombinata a partire da tutti questi elementi. Quel che ho detto sulla cultura postmoderna, in cui le combinazioni sono temporanee e motivate dall’edonismo, è fortemente supportato da questo tipo di tecnologie. Esse facilitano tali comportamenti. Per parte loro, i database, per essere efficienti ed efficaci il più possibile, devono atomizzare la realtà in elementi il più possibile piccoli, poiché più gli elementi sono basici, maggiore è il numero di ricombinazioni possibili. Per esempio, se io conosco solamente il tuo sesso e la tua età, il numero di ricombinazioni è limitato. Ma se conosco anche i tuoi gusti in termini di cibo, i libri che ti piace leggere, chi sono i tuoi amici, allora sei più «atomizzato» e ho più scelte di ricombinazione, per cosi dire. Non siamo più individui, che etimologicamente significa qualcosa che non si puo dividere, ma siamo piuttosto dei «dividui». Diventiamo insomma delle creature che possono essere divise e ricombinate in diverse maniere.

Che relazione possibile vede tra multiculturalismo, nuove tecnologie e religione?

Penso che si possa guardare questa relazione da due lati, quello della tecnica e quello della religione. Da un lato la tecnica è diventata una sorta di fenomeno religioso. Per Rudolph Otto, autore di Il sacro, il sacro ha una doppia faccia, nella misura in cui da un lato speriamo porti alla salvezza, ma dall’altro puo essere un’entita che punisce. Tale ambiguita è propria di praticamente ogni religione, perché la religione parla di entita che sono fuori dal nostro controllo. Il filosofo Hans Achterhuis ha scritto che nella nostra societa secolarizzata la tecnica ha preso il posto del sacro proprio perché ha a che fare con cose che escono dalla nostra portata. Si pensi all’energia atomica o ai fondamenti della vita nella biologia molecolare. Per questo speriamo che la tecnica ci possa salvare, ma rimane anche un qualcosa di cui abbiamo paura. Se guardiamo la cosa dal puno di vista delle tecnologie, constatiamo come la religione abbia sempre usato le tecnologie come mezzi di distribuzione delle idee. Nella cultura greca la religione era orale. Non e un caso invece che le grandi religioni monoteiste siano dette «del libro». Mi sembra interessante affermare che la natura della religione sia stata influenzata dagli strumenti di trasmissione dell’informazione. Nell’era di internet, la religione non puo che subire allora un mutamento. Dal libro si sta passando alle pagine web.

Intervista a cura di Alberto Romele

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